Last Updated on 27/07/2024 by bowman
La direttiva Mifid2, entrata in vigore dal 2 gennaio 2018 anche in Italia, rappresenta, sulla carta, una rivoluzione copernicana nel concetto di consulenza finanziaria.
Purtroppo è, secondo me, una delle leggi nella pratica più disattese in assoluto. Verificare questo fatto sarebbe semplicissimo: basta telefonare a 1000 risparmiatori che possiedono investimenti presso qualche struttura di ‘wealth management’ (banche, consulenti, etc…) presi a caso e chiedergli quanto, secondo loro, pagano all’anno. Secondo me le risposte saranno nell’ordine “credo 5 euro al mese” o per i più realisti “qualche centinaio di euro l’anno”. La massificazione di questi risultati probabilmente porterebbe a concludere che forse non si è incappati in un risparmiatore particolarmente distratto, ma che il sistema getta le sue fondamenta su di un’asimmetria informativa.
Personalmente ho visto i rendiconti Mifid su costi ed oneri tante banche (anche con modelli di servizio completamente differenti) e di solito i costi fatti pagare su portafogli con investimenti gestiti andavano da un 2% l’anno (quando andava proprio bene), fino a casi anche 3 o 4 volte superiori (di solito in anni in cui si erano pagati bei costi di sottoscrizione e simili). Per capirci chi ha un portafoglio d’investimenti da 300mila euro ed è fortunato a cavarsela con il 2% vuol dire che paga 500 euro al mese di commissioni tra collocatore, società di gestione etc…
Lo sa?
Questa eventuale asimmetria informativa su costi e caratteristiche dei prodotti non sarebbe esattamente Mifid2-compliant.
Andiamo ad osservare due interessanti articoli pubblicati nella L. 87 del 31.03.2017 sulla Gazzetta Europea (poi recepita con la normativa Mifid2):
Articolo 10, comma 2 (da citare ai venditori di prodotti): le imprese d’investimento identificano e valutano appropriatamente la situazione e le esigenze dei clienti su cui intendono concentrarsi, in modo da GARANTIRE che gli interessi dei clienti non siano pregiudicati a causa di pressioni commerciali o necessità di finanziamento.
Che vuol dire? Che non si può consigliare un prodotto perché “devo venderlo” perché “ci sono accordi o budget di questa roba da collocare”, ma si deve partire dalle esigenze e dalla situazione dell’investitore. Se questi ha bisogno di liquidità e non vuole che il capitale sia soggetto a fluttuazione, toccherà fargli il conto deposito, anche se ci si guadagna poco… se NON ho bisogno di un prodotto assicurativo non si induce a sottoscriverlo perché si vuole vendere la nuova polizza! Tutto il sistema di pesanti pressioni commerciali (sui siti dei sindacati bancari c’è un’ampia bibliografia) a cosa conduce?
Se il mio consulente guadagna bene solo su fondi e polizze… ma io voglio (o per me è adeguato) il titolo di Stato e l’obbligazione perché la mia esigenza è avere un capitale certo a scadenza, non si viola la LEGGE a pregiudicare il mio interesse/esigenza per necessità ‘commerciali’?
Più interessante il secondo articolo che volevo condividere oggi:
Un Onorario, Commissione o anche Beneficio Non Monetario, è considerato INACCETTABILE qualora la prestazione dei servizi pertinenti al cliente sia falsata o distorta a causa dell’onorario, della commissione o del beneficio non monetario.
C’è anche poco da commentare… come fai a prendere il 3% di commissione su un fondo (magari inserito in un wrapper assicurativo o in una gestione patrimoniale) con dentro obbligazioni che rendono al massimo il 2%? Se tu mi induci a comprare e vendere, percependo più volte commissioni di entrata/rimborso, mentre io perdo e basta… che servizio mi stai dando? Il servizio non è un tantino distorto da questa continua spremitura di commissioni (spese annue, di performance, utilizzo di prodotti costosi, tunnel e quant’altro)?
Inutile ricordare che poi la trasparenza impone anche di spiegare bene i costi, oltre ai rischi, dei prodotti finanziari.
Come evidente, almeno la legge c’è, ma… scripta volant?!
P.C. 26.06.2020