Last Updated on 27/07/2024 by bowman
Voglio oggi concludere la mia condivisione di opinioni sui rischi delle strategie flessibili, soprattutto quando riprendono tecniche proprie degli hedge funds.
Come nel precedente intervento voglio partire condividendo un’analisi fatta da Niall Ferguson, storico dell’economia (Stanford, Harvard, ha ispirato il professore del film “History Boys”) che come me si occupa anche di analisi sui mercati finanziari e sulla loro storia (anche se non credo direttamente di strumenti finanziari). Quando ho letto la sua analisi ovviamente vi ho riconosciuto un esempio coerente per descrivere i miei dubbi su tali strategie, che tanti “magici gestori” di fondi regalano ai portafogli di semplici risparmiatori più o meno piccoli, ma in generale ritengo accomunati dalla volontà che non si “giochi” con i loro risparmi.
Creare un fondo che sovraperformi il mercato, e notevolmente, per diversi anni, salvo implodere all’anno n+1, è assolutamente fattibile per un gestore di Hedge Funds.
Anche un mediocre truffatore può fare un mucchio di soldi costituendo un fondo comune d’investimento (che possa utilizzare da mandato tecniche Hedge, quindi molta “flessibilità” nella gestione), raccogliendo 100 milioni da investitori creduloni (o ‘spinti’ dai propri consulenti) e utilizzando questa semplice strategia:
1. Compra titoli di stato che rendono il 4% l’anno (l’esempio risale al 2008, oggi i tassi non sono più quelli, ma ricordiamoci che il 20 novembre 2018 –22 mesi fa e non nel medioevo– il BTP Marzo2032 al 1,65% veniva scambiato a 79,5, quindi rendeva il 3,57%) utilizzando i 100 milioni.
2. Questo permette al gestore del fondo di vendere al prezzo di 10 centesimi per ogni euro 100 milioni di opzioni “coperte” (dai titoli di stato), che pagherà nel caso in cui l’indice S&P500 (oppure il MSCI World… fate voi) diminuisce di oltre il 20% nel corso dell’anno successivo all’emissione.
3. Incassa quindi altri 10 milioni di euro dalla vendita di queste opzioni a ci compra altri titoli di Stato, che gli permettono di vendere altre 10 milioni di opzioni garantite dal loro valore, che gli fruttano un altro milione di dollari.
4. Il gestore se ne va in vacanza sul suo bello yacht.
5. Alla fine dell’anno, la probabilità che l’indice S&P500 NON sia diminuito oltre il 20% è, sulla storia dei mercati finanziari, del 90%, per cui probabilmente si ritrova 111 milioni di titoli di stato e non deve pagare niente a nessuno
6. Fa il calcolo dei ricavi: 11 milioni dalla vendita delle opzioni, il 4% di rendimento dei titoli di stato, si trova a +15,4%
7. Dal momento che le commissioni di gestione del fondo d’investimento sono del 2% l’anno si intasca 2 milioni di euro. Oltretutto ha commissioni di performance del 20% sul rendimento ottenuto al di sopra del tasso di mercato (è un bel fondo flessibile, ha come benchmark magari un tasso monetario di cui deve fare di più) e sono altri 4 milioni.
8. Ha una probabilità che il fondo continui ad andare così per oltre 5 anni senza che l’indice S&P500 diminuisca del 20%, in questo caso guadagna 15 milioni anche se non affluiscono nuove risorse al fondo, e senza utilizzare leva finanziaria sulla sua posizione.
9. Quando il mercato ha una discesa anomala e ci si trova a pagare le opzioni, azzerando o facendo crollare il patrimonio del fondo ben più del mercato, saranno i soldi degli investitori ad essere sacrificati, certo non quelli del gestore, che anzi al 2% di gestione avrà diritto anche in quell’anno.
[Liberamente tratto dall’esempio fatto in The Ascent of Money, N. Ferguson, 2008]
Ovviamente noi sappiamo (non cito la storia di celebri fondi flessibili più o meno miracolosi che affollano i cataloghi di banche e reti di “consulenza finanziaria”) che il punto 8 è improbabile: perché probabilmente utilizzerà la leva finanziaria, emettendo non 100 milioni di opzioni, ma 200 o 300… il grafico del fondo surclasserà i benchmark per i famosi 5 anni (che in realtà dal 2009 al 2019 sono stati ben di più di 5), i consulenti finanziari proporranno strumenti così complessi, con l’emissione di derivati, approcci flessibili etc… come la panacea a tutti i mali, li spingeranno da morire, anche perché in quel mucchio di soldi c’è spazio per laute provvigioni anche per loro. Questi fondi finiranno nel portafoglio del pensionato, nel piano d’accumulo dell’operaio, forse anche in qualche fondo di fondi.
Ovviamente questo è solo un ESEMPIO per far capire cosa un gestore PUO’ fare applicando opzioni e strumenti derivati alla gestione del risparmio per manipolare il corso di un fondo sovraesponendosi però ad un rischio crescente. In nessun fondo o SICAV si applicherà questo sistema (e mi auguro in nessun Hedge Fund), tuttavia si possono fare molte altre cose: investire in strumenti finanziari illiquidi (dove il prezzo nominale può essere falso o facilmente manipolabile), fare hedging valutari azzardati, sovraesporre il portafoglio ai derivati etc… etc…
Bisogna capire quale è il potenziale rischio cui ci si espone quando si sottoscrive un prodotto che da mandato ad un gestore di non attenersi strettamente ad un benchmark o (MOLTO MEGLIO!) replicare passivamente un indice (con costi minimi oltretutto), ma che offre “flessibilità”.
Io mi auguro che questa semplice analisi possa aprire gli occhi sull’abisso di “strutturazioni” che può esserci dietro a polizze finanziarie unit-linked (tantissime di quelle che trovate allo sportello hanno un valore legato all’uso di opzioni e strumenti ancora più estremi di quelli citati) e fondi (senza parlare di Certificati e derivati veri e propri che spero i piccoli risparmiatori si guardino dal sottoscrivere), e che tipo di avidità si alimentano sottoscrivendo fondi e sicav che hanno nel contratto delle commissioni di performance su cui “guadagnare” con qualsiasi mezzo.
Qui sopra alcuni frammenti presi da fondi attivi di categoria “flessibile” (che non cito, è solo a livello esemplificativo) che appunto applicano commissioni di performance usando indici monetari (da rendimenti ad oggi pressoché zero) come base su cui calcolarle, e che dichiarano un uso di strumenti derivati addirittura per “overcommit” il portafoglio, ovvero sovraesporlo ai derivati oltre il valore dell’investimento stesso, come qui spiegato:
E perché avvalersi di questi strumenti? Perché non ci basta il rendimento dell’indice Nasdaq? Perché ci rassicurano degli andamenti sempre positivi negli ultimi 5 anni di un fondo, e ci “fidiamo” dello sconosciuto gestore di cui però parlano bene? Perché speriamo che se il mercato azionario crolla i derivati di quel fondo ci faranno invece guadagnare (per carità capita… quando azzecca la scommessa, ma capitano anche tante altre cose meno belle)? O perché qualcuno insiste tanto per convincerci a comprarli?